Santa Teresa di Gesù Bambino - Apostole Sacro Cuore

Istituto Secolare
Cristo in Croce
Amore Senza Confini
Apostole Sacro Cuore
Istituto Secolare
Amore Senza Confini
Vai ai contenuti
Santa Teresa di Gesù Bambino
In questo tempo di pandemia in cui emerge la sofferenza, la paura, la difficoltà, siamo obbligati a confrontarci con l’esistenza del male. Gesù stesso non è stato privato dall’esperienza della tentazione e soprattutto della Croce! Per questo motivo nascono le domande: perché la sofferenza fisica? Perché la malattia? Perché le prove spirituali? Perché la morte? Dov’è Dio in questi frangenti?  
 
S. Teresa ci è Maestra in questi momenti di difficoltà, perché la sua vita non è stata “tutta rose e sorrisi” anzi, ha modellato con fortezza la sua esistenza sul Vangelo, imprimendo di puro eroismo gli atti più ordinari comuni, credendo fermamente alla Parola del Maestro, rischiarando il suo quotidiano con una fiducia incondizionata all’amore misericordioso e paterno di Dio e continuando ostinatamente a sperare in Lui.

Teresa di fronte alla malattia e alla prova
 
“Ci sono sempre delle stelle in cielo, ma non le vediamo sempre perché sono eclissate dalla luce del sole. Dice una leggenda che le stelle del giorno, di una bellezza ancora più radiosa di quelle della notte, possono essere scorte nei pozzi profondi e tranquilli.
Alte nel cielo ed inaccessibili al nostro sguardo, queste stelle si riflettono solo nelle profondità della terra, sul nero specchio d’acqua che illuminano con i loro raggi. E se non le vediamo quando guardiamo dall’alto del parapetto, ciò significa che l’acqua non è sufficientemente nera oppure che la sua superficie non è abbastanza quieta, o ancora che il pozzo non è profondo a sufficienza. Può darsi persino che non sia necessario guardare dall’esterno in fondo al pozzo, bensì dal fondo stesso del pozzo…”
 
Il senso di questa parabola è chiaro. Il nostro cuore, un giorno mutilato dal dolore, la nostra vita sprofondata in certi momenti nel buio e nelle tenebre, possono essere e sono nella realtà attuale, in cui ci troviamo, come quei pozzi nei quali si riflette ed abita la stella del giorno, la più bella fra tutte, chiamata speranza.
Questa stella è invisibile agli sguardi comuni, è sprovvista di un’esistenza apparente, ma può diventare visibile nel cuore della nostra vita. È nella profondità dello smarrimento, dell’insuccesso, dell’angoscia che brilla la stella di Teresa, è in questa nullificazione che emerge la sua santità.
La purificazione della Speranza
Ella, chiamata a raggiungere e a condividerla beatitudine di Dio, ben presto vede la Croce ergersi sulla sua strada, poi scopre che essa non è soltanto un ostacolo: è anche una rivelazione della beatitudine, di un modo diverso di rendersi presente da parte di Dio.
 
Teresa è invitata a dimorare in questa croce, in questa passione, attraversarla, spesso da sola, ma con gioia e perseveranza.
Comprende che il suo malessere fisico e spirituale diventa un richiamo: ha percepito che in quella notte Dio si va rivelando nel nascondimento. Oltre quel muro che si erge nel suo animo, oltre le fitte nebbie che oscurano i paesaggi teresiani, Dio c’è, si fa presente nascondendosi.
 
La Rivelazione in Teresa mantiene il suo carattere misterioso.
Ma questo Teresa lo comprende e diventa la sua unica forza: sperare contro ogni speranza.
 Continua a sperare anche quando non è ragionevole, anche quando si deve lottare contro una malattia terminale, o si deve resistere alla tentazione persistente del demonio. Questa è Teresa!
 
Tra malattia e crisi spirituale
 
La data del 4 aprile 1896 segna nel cammino di Teresa una svolta decisiva, un tornante dove tutta la sua esperienza esistenziale sembra confluire, un punto di partenza per una riflessione teologica purificata dalla sofferenza e dall’aridità spirituale.
Teresa ha poco più di 23 anni e da otto si trova nel Carmelo a Lisieux con tre sorelle e una cugina.
È giovane, tuttavia la vita l’ha aiutata a crescere in fretta. Conosce bene, infatti quali sono i contenuti della parola sofferenza, distacco, malattia…amore: ha perso entrambi i genitori, due fratelli e due sorelle. La sua vita è un alternarsi di sofferenze non indifferenti, ma, contemporaneamente, è segnata da ampi spazi di consolazione, di gioia e allegria vissuti soprattutto nell’ambito famigliare.
 
Teresa, donna riflessiva, semplice e dotata di un’intelligenza acuta, è convinta che tutto viene da Dio, è quel Cielo che fin da piccola contemplava e adorava.
“Godevo allora di una fede così viva, così chiara, che il pensiero del Cielo era tutta la mia felicità”.
Tuttavia, nell’aprile 1896 “Gesù ha voluto cambiare il odo di far crescere il suo fiorellino”: la sua teologia doveva essere purificata nella sofferenza della malattia (Teresa muore di tubercolosi) e nella sofferenza spirituale (la notte del nulla).  
 
Inizia per lei un periodo di prova lungo diciotto mesi. Morirà il 30 settembre 1897 pronunciando, con l’ultimo rantolo di voce, queste parole: “Mio Dio…io vi amo!”
 
Le sofferenze corporali
 
Per una persona in buona salute le sofferenze del corpo e dello spirito, quando raggiungono una certa intensità, costituiscono un momento capitale nello sviluppo della vita. L’equilibrio della persona ed il suo orientamento futuro dipendono dal modo in cui questa tappa sarà superata.
Una mobilitazione di tutte le forze spirituali, un grande coraggio, sono necessari per superare felicemente questo passaggio. Ma l’energia spiegata ed il dominio di sé non possono evitare una maggior vulnerabilità alle mille piccole noie della vita quotidiana.  
 
(Tratto da Teresa di Gesù Bambino: la purificazione della speranza di Don Graziano Gianola)
continua...

marzo - aprile
Che dire allora quando a queste sofferenze morali o spirituali si aggiungono delle intense sofferenze fisiche? Tale è stato il caso di Teresa di Lisieux. In ogni uomo, l’accumularsi delle sofferenze porta la sua capacità di resistenza ad un punto di rottura, in cui egli si sente pronto alla rinunzia: rassegnazione, disperazione o rivolta. Queste sono state le condizioni concrete in cui Teresa si è trovata posta.  Senza saperlo, né lei, né coloro che le stavano intorno, Teresa era già gravemente ammalata colpita dalla tubercolosi quando la notte dal 3 al 4 aprile 1896 la malattia si manifesta con una prima emottisi.
 
“La sera del Giovedì Santo del 3 aprile, Teresa rimane a vegliare in coro fino a mezzanotte. Ma appena coricata, sente un fiotto che le sale dalle labbra. Si asciuga e ripone il fazzoletto. La lampada è già spenta e lei non verifica che cosa sia ciò che ha vomitato: se è sangue, forse morirà questo stesso Venerdì Santo. Nessuna paura, anzi, ne è felice, perché da sempre ha voluto rassomigliare a Gesù. S’addormenta. Alle 5.45 le traccole la risvegliano. L’imposta socchiusa le permette di rendersi conto che il suo fazzoletto è inzuppato di sangue. Lo sposo s’annuncia, egli non è lontano…La notte successiva Teresa constata la stessa emottisi della notte precedente e questa volta non è più sostenibile alcun dubbio: sta dunque per essere esaudita…La sua fede è viva, chiara non pensa che alla gioia del Paradiso”.
 
Tuttavia, non conosce ancora la durata di questo periodo e soprattutto a quali sofferenze fisiche e spirituali dovrà far fronte.
 
La malattia mina lentamente il suo corpo con sofferenze progressive che ella tenta di nascondere fin quando può. Teresa si confida solamente con Madre Maria di Gongaza, pregandola insistentemente di mantenere il segreto e di non imporle alcun sconto sulla vita comunitaria e sui lavori che le spettano. Solamente quando ci si rende conto che la situazione non è più sostenibile, ella permette d’essere sottoposta alle cure del medico pur consapevole che le medicine del tempo non sono in grado di alleviarle il dolore e permettere quindi di guarire totalmente.
 
Teresa su questo non si fa illusioni.  Le sue sorelle la vedono circolare per casa e sostenere il suo ruolo in comunità e nemmeno sospettano che la sua salute continui a peggiorare. In questa apparenza ingannevole nessuno la crede malata come in realtà ella è. Passa un anno dai primi avvertimenti della malattia e, a partire dal 19 aprile 1897, lunedì di Pasqua, si fanno più frequenti i vomiti, i dolori al petto e gli sbocchi di sangue che non le lasciano tregua.
 
La situazione si aggrava improvvisamente. Teresa è in uno stato di grande spossamento e prova talvolta delle angosce come se dovesse morire: inizia per lei un periodo d’intense sofferenze dovute alla malattia, ma anche alla cura della medicina del tempo. Sono per lei gli ultimi mesi di vita.
 
Con maggio Teresa è sollevata da ogni incarico comunitario e trascorre i suoi giorni combattendo contro la malattia, ma, allo stesso tempo, con la speranza di vedere presto “l’Amato”!
 
“Il venerdì 30 luglio, contrariamente ai giorni precedenti, l’emottisi non cessa; riceve l’estrema unzione. Teresa si sente soffocare, probabilmente non passerà la notte, afferma il dottore. Ancora una volta Teresa se la cava.
 
Il giorno dopo va “meglio”. E poiché intorno al suo letto si discute sui giorni che le restano da vivere, l’ammalata interviene: “E’ ancora il malato che lo sa meglio di tutti. Io sento che ce n’è ancora per molto”. Effettivamente, contro ogni aspettativa, dal 6 al 15 agosto le sue condizioni restano stazionarie”.
 
Il 19 agosto Teresa fa per l’ultima volta la santa comunione. Successivamente è visitata dal dottor Francis La Nèele e la diagnosi è gravissima: la tubercolosi è arrivata al suo ultimo stadio. Teresa è molto dimagrita… la malattia ha invaso tutto il suo organismo, compreso gli intestini…hanno termini le grandi sofferenze; restano la febbre, la sete che non l’abbona mai e soprattutto l’oppressione.
continua...


maggio - giugno
Ci sono però delle foschie.
 
Per esempio, scriveva a riguardo del 1891: “Avevo allora delle grandi prove interiori di ogni sorta fino a chiedermi talvolta se esistesse un cielo”; ma fino la Pasqua del 1896 tali interrogativi sono fuggitivi e non impediscono la luce. Mentre a incominciare dalla Pasqua del 1896 è in uno stato di interrogativi continui. D'improvviso, la gioia di Teresa scompare in un modo brutale. Su di lei si abbatte una sofferenza imprevista. In quel periodo Pasquale, tempo di luce, entra nella più fitta notte interiore. Teresa, che pensava con gioia da andare molto presto in cielo, perché il cielo è Gesù stesso, si ritrova invece in una condizione di instabilità.   
 
Avanza nella notte come in un tunnel. Cozza contro muro che si eleva fino al cielo. Prima si rallegrava di morire d'amore; ora pungentissime voci interiori le sussurrano che i suoi grandi desideri, la piccola via, l'offerta all'amore, tutta la sua vita spirituale, non sono state che illusioni. “Mi sembra che le tenebre prendano la voce dei peccatori, e mi dicano prendendomi in giro: tu sogni la luce, una patria fragrante dei più soavi profumi; tu sogni il possesso eterno del Creatore di tutte queste meraviglie, credi di uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano. Vai avanti, vai avanti, rallegrati della morte che ti darà non ciò che speri, ma una notte ancora più profonda, la notte del nulla.
 
Basta leggere le poesie scritte da Teresa in questo periodo e la Storia di un’anima, per capire la gravità, le vertigini di quello che la giovane vive in tutti questi mesi. Teresa è cieca, non ha più via d'uscita, non sa a chi ricorrere; è veramente nella nebbia.
 
Non dà a vedere questi stati d'animo, tuttavia lancia molti segnali fondati, precisi, di una tragicità a volte terribile. Alcune confessioni, scelte tra molte, bastano per permetterci di immaginare la grandezza della prova di quest'anima totalmente innamorata di Dio: “Se non avessi questa prova dell'anima, queste tentazioni contro la fede, impossibile da capire. La mia anima si sente proprio esiliata, il cielo è chiuso per me se sapeste quali spaventosi pensieri mi assalgono! È il ragionamento dei peggiori materialisti che si impone nella mia mente. Nessuno può capire le tenebre nelle quali io vivo, la mia anima è immersa nella notte più scura, ma io sono nella pace.
 
Il confessore della comunità accresce di più, le sue sofferenze dicendole che il suo stato spirituale è molto pericoloso. Ma l’eroica Teresa resta nella pace. Non perde la sua serenità. Incessantemente rinnova la sua professione di fede. E il martirio del cuore, dell'amore, a lungo desiderato. “Tutto è scomparso per me, non resta più che l'amore”, dice durante queste prove.
 
È inutile soffermarsi sulla condizione reale di Teresa come lei osa descriverlo, con una lealtà che non può stupire e senza esibizionismo; bisogna insistere sullo spessore delle tenebre che la circondano: non si accontenta di chiacchiere.
 
Ma è necessario mostrare subito che quello stato non è uno stato di incredulità. Non conosce più la gioia che accompagna solitamente l'esperienza di fede, non vive più il dinamismo di una certezza sentita che si accompagna solitamente alla fede, ma questa non cessa di esistere. E un grave non – senso -… sostenere che Teresa sia presa nell’ intimo di un ateismo radicale o dire che Teresa è semplicemente tentata di perdere la fede.
 
Questo falsa profondamente l'ultimo periodo della vita di Teresa.
 
La cosa più evidente è che la prova della fede è fatta soprattutto di tentazioni a riguardo del cielo.
 
A volte circa la sua esistenza, a volte circa la sua consistenza, a volte circa la sua continuità con la vicenda terrena. Teresa ha ben compreso la posta in gioco: la parola Cielo è sempre stata per lei la formula sintetica di ogni bene: “Il pensiero del cielo faceva tutta la mia felicità”.
 
Ora Dio ha deciso di toglierle tutto ciò che Teresa prova di soddisfazione naturali nel desiderio del Cielo: via dunque le dolci immaginazioni, i sogni dell'infanzia, le attese della Patria… e in questa sofferta esperienza Teresa si sente pronta a” versare fino all'ultima goccia il mio sangue per testimoniare che il cielo esiste.
continua...


 luglio - agosto

La sera del 29 settembre le tre sorelle Martin le sono vicinissime per tutto il tempo dell’agonia. Il giorno seguente” …verso le 17 la campana suona per convocare in fretta la comunità nell’infermeria. Teresa accoglie le sorelle con un sorriso. Tiene stretto il crocifisso tra le mani. Un rantolo terribile lacera il suo petto. Ha il volto congestionato, le mani violacee, i piedi gelati, un sudore talmente abbondante da penetrare nel materasso…ma il tempo passa e la priora rimanda le sorelle.

Dopo le 19, Teresa riesce ad articolare le parole: “Madre mia, non è questa ancora l’agonia? Non muoio ancora?”Sì, mia povera piccola, è l’agonia, ma il Signore forse vuole prolungarla di qualche ora”. Teresa risponde:” Ebbene…andiamo! …Andiamo! non vorrei soffrire meno a lungo”. Poi guarda il suo crocifisso:” Oh, io l’amo! Mio Dio…io vi amo”!

Dopo d’aver pronunciato queste parole, cade dolcemente indietro, la testa reclinata a destra. La Madre priora richiama in fretta la comunità, e tutte sono testimoni della sua estasi. Il volto ha ripreso il colore del giglio che aveva in piena salute, gli occhi sono fissi verso l’alto, splendidi di pace e di gioia. Suor Maria s’avvicina con una fiaccola per vedere più da vicino quello sguardo sublime. Alla luce della fiaccola nessun movimento appare nelle palpebre. Questa estasi dura circa lo spazio di un Credo.
 
Poi Teresa chiude gli occhi e spira. Finalmente, dopo 17 mesi di malattia denunciata e 37 ore di agonia, Teresa muore soffocata il 30 settembre 1897, poco dopo le 19, esattamente alle 19,20.
 
Le sofferenze spirituali
 
E’ molto difficile, se non impossibile, pretendere di capire perfettamente la natura e le diverse forme della prova in un’anima. Quando la tentazione del dubbio sorge in un’anima, la fede è intaccata alla radice, di conseguenza si rimette in discussione l’intera esistenza. Tali tentazioni, poiché seguono l’andamento della vita, sembrano svilupparsi senza ordine logico. Di qui l’impressione d’incoerenza e la difficoltà per coloro che ne soffrono, di comprendere ciò che provano. Così è stato anche per Teresa.
 
Vi sono tre momenti fondamentali nell’itinerario spirituale di Teresa di Lisieux: il Natale del 1886 o l’ingresso nell’età adulta; il 9 Giugno 1895, festa della Trinità o l’intera donazione di sé al Dio della Tenerezza. Il terzo è senza dubbio il più importante: la notte di Pasqua del 1896.

È un avvenimento che trova il suo inizio in un momento preciso collocato nei giorni della Settimana Santa; l’avvenimento è durato 18 mesi, senza interruzione. Il primo avvenimento è l’Incarnazione; il secondo la Trinità; il terzo la Pasqua. Ma paradossalmente: l’incontro di Gesù a Natale del 1886 la rende, umanamente e spiritualmente, adulta e tanto più figlia del Padre, liberamente; l’incontro con Gesù nella festa della Trinità, la fa entrare nel fuoco dell’amore trinitario. Il terzo avvenimento, Gesù risuscitato, è vissuto, estremo paradosso, nella notte. Gli ultimi 18 mesi della vita di Teresa di Lisieux sono letteralmente una notte di Pasqua.
 
“…La maggior parte dei biografi e dei teologi hanno passato sotto silenzio, o mascherato, questo avvenimento. Perché? Perché tale avvenimento appare, a prima vista, scandaloso: come può accadere, infatti, che l’ultimo periodo dell’esistenza di una della più grandi mistiche sia un periodo di notte, di crisi, di difficoltà immense? Non avrebbe meritato, quella giovane di 24 anni che stava per morire, quella giovane così pura, di avere una fine tranquilla e felice? Spesso si è soffocato e minimizzato quell’avvenimento di capitale importanza!”

Dunque, fino alla Pasqua del 1896, Teresa vive non in un sentimento di fede, ma nella luce della fede. Tutto il manoscritto A risplende di questa felicità di vivere nella fede. Teresa tutto questo lo chiama “godere del bel cielo in terra” o anche “la gioia della fede”.
continua...


settembre - ottobre

La sua passione spirituale consiste proprio in questo: da un lato ella deve bruciare d’amore e dall’altro restare avvolta nelle tenebre.
 
Lʹ esperienze di Teresa di Lisieux non è da paragonare alla “notte della fede” di Giovanni della Croce. Niente a che vedere con l’epoca in cui è vissuto San Giovanni della Croce epoca in cui tutti o quasi tutti credevano in Dio. Con Teresa, pertanto, non ci si trova di fronte a una notte della fede in cui l’essere umano, in un solo faccia a faccia con Dio, perde terreno e scopre di essere un nulla, ma di fronte ad uno stato in cui è l’incredulità dei contemporanei di Teresa che, improvvisamente, interroga la giovane carmelitana nel profondo del suo cuore. È un interrogativo non una distruzione della fede.
 
Lo stato mistico di Teresa consiste quindi nel trovarsi in una situazione assolutamente contraddittoria a prima vista; non cessa di partecipare alla luce della fede e partecipa contemporaneamente alle tenebre in cui vivono i non credenti; si trova in una sofferenza mai provata e in una gioia più grande che mai:
 
“Nonostante questa prova che mi toglie ogni godimento posso esclamare: “Signore mi colmate di gioia con tutto quello che fate”
 
La Santa non fa l’esperienza di uscire dalla fede per comprendere di non avere fede, ma il suo atteggiamento, e questo lo si scopre leggendo pagina dopo pagina i suoi scritti, è quello di abbandonarsi alla fiducia in Dio. Solo così sarà in grado di coltivare con amore una speranza pur all’interno di un contesto dove l’esperienza personale porterebbe a scegliere l’abbandono della fede, porterebbe alla disperazione, all’azzeramento di ogni speranza.
 
Lʹatto di Teresa, quindi, non è quello di lasciarsi vincere dalla tentazione del nulla, ma invece, quello di sperare contro ogni speranza. Teresa non dubita dellesistenza di Dio ma si interroga sul nulla. La prova che ella subisce è proprio questa: ha l’impressione di non avere più desideri; e la speranza che viene mortificata.
 
Ma Teresa, con la fiducia e il suo silenzio, testimonia al suo Gesù che la passione che sta vivendo serve a qualcosa e che lei stessa accetta di compiere nel proprio cuore e nel proprio corpo ciò che manca alla passione di Cristo…
 
Nella notte del 4 aprile 1896 si accorge di essere malata:
 
“Dopo essere rimasta al sepolcro fino a mezzanotte, tornai in cella; ma avevo appena avuto il tempo per posare la testa sul cuscino che senti come un fiotto che saliva, gorgogliando fino alle labbra. Non sapevo che cosa fosse, ma che sapevo che forse stavo per morire e la mia anima era inondata di gioia.”

Il colpo è tale che alcuni giorni dopo la giovane sprofonda nel buio: un’assenza assoluta delle diverse realtà della fede, una mancanza di qualsiasi consolazione.
 
“Ma, ad un tratto, le nebbie che mi circondano diventano più fitte, mi penetrano nell’anima e l’avvolgono in modo tale che non mi è più possibile ritrovare in essa l’immagine così dolce della mia Patria: tutto è scomparso”.
 
Teresa si trova improvvisamente ad affrontare questa duplice lotta poiché ha subìto contemporaneamente un duplice confronto con la morte: la morte fisica che distrugge inesorabilmente il suo corpo di ragazza ventiquattrenne e la morte spirituale che minaccia la vita della sua anima. È evidente che per comprendere in modo completo l’intensità e l’importanza della prova della fede, bisogna collocarla nel contesto della malattia che la sta minacciando.
 
Qui si intuisce che tale prova diventa insostenibile se accompagnata dalla malattia fisica. Teresa stessa si rende conto di essere debole fisicamente e spiritualmente. Giorno dopo giorno prende coscienza che il suo corpo si va consumando: il respiro diventa sempre più corto, si sente soffocare, invoca la Madonna, chiede che i medicinali posti sul comodino a fianco vengano allontanati e nascosti perché potrebbe farne uso in un momento di estrema debolezza e, spiritualmente non è in condizioni migliori.
continua...


novembre - dicembre

“A volte, è vero, un piccolissimo raggio di sole illumina le mie tenebre: allora la prova cessa per un momento; ma poi il ricordo di quel raggio, invece di causarmi gioia, rende le mie tenebre ancora più fitte”.

In tutto questo navigare senza rotta, tuttavia, ella mantiene salda una convinzione che si rivela essere l'anima, la forza che le permette di affrontare questo momento con fatica, ma anche a testa alta: Dio è con lei! Questa certezza porterà la Santa non alla disperazione, ma all'affidamento a Dio; pur essendo in quella condizione, ella chiede di aumentare la sua fede, ringrazia per il dono della fede, chiede che nella malattia non arrivi mai a offendere Dio…  

Possiamo immaginare quale sia lo stato di sofferenza di Teresa negli ultimi mesi, e quanto influsso svolga la malattia su di lei, tuttavia possiamo affermare che la prova subita da Teresa va al di là nella malattia stessa, richiama una dimensione nuova.

Teresa nei suoi manoscritti rende esplicita l'intenzione divina su di lei: in quest'ultima fase della sua vita e chiamata a lodare Dio nel buio della notte, nella notte del nulla.
Sembra leggere nella prova un'occasione per avvicinarsi a quel Dio che va nascondendosi sempre più ai suoi occhi.

Tutto questo lo dobbiamo declinare nella fatica di una donna che quotidianamente deve far fronte alla tubercolosi e ai dubbi che la tormentano. Qui sta la grandezza di questa Santa!

Teresa non è ingenua, sa bene cosa significa soffrire. Tutto nella sua vita era predisposto perché si ripiegasse su sé stessa. Sono diversi gli avvenimenti che avrebbero potuto condurla lo sconforto al tedio, alla rivolta e alla disperazione… Tutta la sua vita è stata segnata dalla sofferenza fisica e soprattutto morale! Ricordiamo che la famiglia Martin è colpita da diversi lutti familiari: due fratelli e due sorelle di Teresa muoiono in tenera età e, in questo periodo, muoiono anche quattro parenti stretti di famiglia tre dei quali sono i suoi nonni.

Teresa perde la mamma a soli quattro anni; si pensi poi al dolore che ha dovuto subire a seguito del distacco di Paolina quando è entrata in Carmelo seguita, a pochi mesi di distanza da Maria la sorella maggiore. Teresa è talmente sensibile che non resiste alla prova. Se ne ammala, profondamente, all'età di 10 anni. I medici sono imprecisi: “malattia molto grave da cui nessuna bambina è rimasta colpita”.

La malattia si aggrava tanto da pensare che Teresa stia per morire o forse potrebbe rimanere in quello stato per tutta la vita.

Guarirà al vedere il sorriso che le ha fatto la statua della Vergine posta in giardino: “dal momento che non trovava alcun soccorso sulla terra anche la povera piccola Teresa si era rivolta alla sua Madre del cielo; la pregò con tutto il cuore che avesse pietà di lei… “all'improvviso la Madonna mi parve così bella, così bella che non avevo mai visto nulla di così bello: il suo volto spirava una bontà e una tenerezza ineffabile, ma ciò che mi penetrò fino in fondo all'anima fu l'incantevole sorriso della Madonna. Allora tutte le mie sofferenze svanirono tre puntini pensai, la Madonna mi ha sorriso, come sono felice! Senza fatica abbassai gli occhi e vidi Maria (la sorella maggiore) che mi guardava con amore, sembrava commossa e pareva immaginare il favore che la Madonna mi aveva concesso”.

Ma altre prove toccheranno Teresa: la fatica degli inizi nel Carmelo …non era ben vista per il fatto che tra le ventidue carmelitane presenti, tre erano sue sorelle e una cugina; la malattia, il ricovero e poi la morte del padre Luigi Martin. “Ho sofferto molto da quando sono sulla terra: ma, se nella mia infanzia ho sofferto con tristezza, non è più così che soffro ora, bensì e nella gioia e nella pace. Sono veramente felice di soffrire!"

Qui Teresa sembra aver già intuito che, se la prova trova una sua origine in Dio, allora è possibile viverla serenamente. Teresa, dunque, conosce bene il volto della sofferenza. Infatti, in quest'ultima fase della sua vita ella non si abbandona alla disperazione, ma, forte della sua esperienza e convinta dell'esistenza di un Padre misericordioso, accetta questa situazione come una prova d'amore che le è stata mandata da Dio stesso.
continua...


gennaio - febbraio 2022

“Madre, mai ho sperimentato così bene come il Signore è dolce e misericordioso! Mi ha mandato questa prova solo nel momento in cui ho avuto la forza di sopportarla; se l'avessi avuta prima, credo davvero che mi avrebbe gettato nello sconforto…” pur nelle tenebre nelle nebbie disorientati dell'animo, ella si abbandona totalmente a quei pallidi raggi che talvolta le permettono di cogliere la presenza del suo amato Signore. In ultima analisi possiamo dedurre che la malattia diventa certo un ostacolo per il cammino della fede, ma Teresa stessa, pur consumata dalla tubercolosi, si rende conto di come questa prova vada purificando la sua appartenenza a Dio, la sua speranza.

“Madre amata, lei la conosce questa prova, tuttavia, gliene parlerò ancora perché la considero come una grande grazia che ho ricevuto sotto il suo primo priorato benedetto”.
 
Nel manoscritto C, indirizzato a Madre Maria di Gonzaga e redatto tre mesi prima della morte, Teresa non cerca più di nascondere il suo stato interiore, anzi ne parla in modo abbondante.
 
Il linguaggio da lei usato è simbolico: fa largo uso di immagini e di paragoni per far comprendere ciò che sta avvenendo nel suo animo. Un esempio su tutti: “Immaginiamo che io sia nata in un paese circondato da una fitta nebbia: mai ho contemplato l'aspetto ridente della natura”.
 
Le tentazioni contro la fede, così come lei stessa le chiama, nascondono la piccola fiamma che richiama la presenza del cielo e ne offuscano la luce con lo spesso muro di dubbi. “Ma ad un tratto le nebbie che mi circondano diventano più spesse, penetro nell'anima e la avvolgono, spiega Teresa. “La fede c'è sempre, ma la sua invisibile luce non è più percepita dall'anima che non ha più il godimento”. Essa ha l'impressione d'essere entrata in una notte più profonda, un'altra notte. Il suo timore consiste nel fatto che questa notte della fede si trasformi in una notte totale.
 
E’ toccante vedere quanto la Santa ha insistito sulla profondità di questa nuova oscurità. Ella parla di fitte nebbie, di tetro tunnel.
 
Nelle annotazioni raccolte dalle sorelle durante la sua malattia, ritroviamo lo stesso tratto caratteristico. Il cielo è talmente nero che non vede alcuna schiarita. Ella parla di un buco nero dove non si distingue più niente… Sì quali tenebre! I poemi che compose nell'aprile del 1896 parlano esplicitamente di queste tenebre.  
 
La continuità di questa notte è attestata da questa dichiarazione: “Questa prova non doveva durare qualche giorno, qualche settimana, essa doveva estinguersi nell'ora fissata dal buon Dio e …quest'ora non è ancora avvenuta”.  Siamo nel giugno del 1897 le confidenze che contornano gli “Ultimi colloqui “ci mostrano che ella subirà tale prova fino al suo ultimo sospiro. Tuttavia, Teresa osserva “A volte, è vero, un piccolissimo raggio di sole illumina le mie tenebre: allora la prova cessa un momento”, per raddoppiare l'istante successivo.
 
Teresa vuole innanzitutto evocare le nebbie nelle quali vive dalla Pasqua del 1896 descrive per quanto le parole gliene possono consentire, la sua prova interiore. Quel giorno i maligni serpenti non sibilano più alle sue orecchie ma ciò che ne dice, le pare tanto imperfetto quanto un abbozzo paragonato al modello.
 
Sono 13 mesi che moltiplica gli atti di fede per resistere alle voci interne che le suggeriscono che sta camminando verso il nulla.
 
Cosa è avvenuto precisamente in lei? Teresa lo spiega con diverse immagini già nel suo manoscritto B, parla di un oscuro temporale che viene ad offuscare la radiosa festa di Pasqua; vede fino a che punto le nubi coprono il suo cielo.
 
Nel racconto del manoscritto C, ritornano le stesse immagini: la sua anima è invasa dalle tenebre più fitte, parla di un tunnel oscuro, parla del desiderio di far riposare il suo cuore stanco delle tenebre, delle foschie che lo circondano. E per chi diventa cieco, rappresentarsi l'antica luce diventa una sofferenza: il pensiero del Cielo così dolce per lei, non è più che fonte di lotta e di tormento.
continua...


marzo - aprile 2022

Questo è molto pericoloso nella mente di Teresa; c’è ormai come un’opposizione fra i due registri, il cielo e la terra, l’uno sembra escludere l’altro. Quando per esempio cerca, per riposarsi da tutte le sue lotte e dalle tenebre che la circondano, di dirsi che ci sarà un’altra terra che le servirà un bel giorno da dimora stabile, le sofferenze e le notti aumentano, quando vuole riposare il suo cuore stanco dalle tenebre che lo circondano, il tormento raddoppia.
 
Nel giugno del 1897 scrive il passo in cui le tenebre assumono quasi una forma umana e le parlano con sorprendente chiarezza:
 
“Credi di uscire un giorno dalle nebbie che ti circondano… va avanti, va avanti, rallegrati della morte che ti darà, non per quello che speri, ma una notte ancora più profonda, la notte del nulla.”
 
Poi Teresa prosegue dicendo: “Non voglio scrivere di più, avrei paura di bestemmiare… ho paura di aver già detto troppo.”
 
Tutto il dinamismo teresiano della vita concepita come un cammino e persino come una corsa verso Dio è ripreso qui con cinismo, in un invito alla gioia, alla gioia cattiva di un cuore orgoglioso che non vuole sperare niente e soddisfarsi del nulla…
 
Teresa non usa mai il termine dubbio parlando della sua prova di fede, il termine e quasi estraneo al suo vocabolario, lo usa solo due volte parlando della sua malattia di adolescente ed evocando una confusione sulla vocazione in occasione di una crisi precedenti la sua professione religiosa. Precisiamo. Teresa non parla di dubbio, ma, con una precisione notevole, parla di notte, di tenebre, di nulla, e anche di nebbia.
 
Con minor frequenza ricorrono i termini lotta, pane di dolore, pane della prova, lotta contro i nemici, sofferenza e aridità.
 
Si nota con chiarezza che Teresa non ha mai parlato della notte della fede: solo gli ultimi colloqui le fanno usare questo termine, secondo l’interpretazione di Madre Agnese.
 
Lei parla della notte del nulla, come abbiamo visto; e, all’inizio del manoscritto B, parla della notte di questa vita…Teresa usa spesso in modo esatto il termine godere a proposito di ciò che attende e ciò che già possiede con la speranza.
 
Per questo…siamo attenti a non limitare la prova di Teresa parlando di prova della fede. Teresa non dubita dell’esistenza di Dio. Entra con tutta la volontà di credere nella purificazione della speranza continuando a perseverare nella notte. “Quando canto la felicità del cielo, l’eterno possesso di Dio, non ne avverto alcuna gioia, perché canto semplicemente ciò che voglio credere”. Ella accetta l’interrogazione supplice unendosi al Cristo del Getsemani e mette pienamente in pratica la sua via nella confidenza totale offerta ai piccoli.
 
Allora chiede perdono per i suoi fratelli e “accetta di mangiare quanto vorrete il pane del dolore e non vuole affatto alzarsi da questa tavola colma di amarezza dove mangiano i poveri peccatori”.
 
Percepisce con chiarezza che tale prova deve purificare il suo desiderio troppo naturale del cielo ma soprattutto percepisce si trova allo stesso piano e alla pari degli increduli.
 
Accetta di sedere senza alcuna condiscendenza alla tavola dei peccatori come ha fatto Gesù. “ Signore, abbi pietà di noi che siamo peccatori! Che tutti coloro che non sono illuminati dalla luminosa fiaccola della Fedela vedano finalmente brillare…Signore Gesù se è necessario che la tavola insozzata da loro sia purificata da un’anima che ti ama, accetto di mangiarvi da sola il pane della prova fino a quando ti piaccia e di introdurmi nel tuo Regno luminoso…. La sola grazia che ti domando è di non offenderti mai.” “C’è evidentemente un prodigio di solidarietà nei riguardi di atei e peccatori.
 
Teresa prega per loro e con loro; per loro e con loro essa si sente peccatrice e bisognosa di perdono, ma non occorre che ella condivida quel peccato con cui essi hanno perduto la fede, e nemmeno che ceda al dubbio. Infatti alla tavola sporcata dai peccatori atei e fratelli perduti, Teresa mangia da sola il pane della prova.
 
Rileggendo con attenzione e serietà i diversi manoscritti, si conosce non una Teresa che subisce passivamente la prova, ma si scopre una ragazza accesa d'amore per il suo Gesù, coinvolta in una profonda prova che tuttavia non riesce a intaccare la sua purezza e il suo amore.
 
“Mai, nemmeno per un istante Teresa si sente di condividere la situazione atea e peccatrice dei suoi fratelli nel senso in cui lo immaginano e lo descrivono certi moderni esegeti, che si credono in dovere di scoprire in tali esperienze chissà quale nascosta grandezza.
 
Sempre ella sta in posizione di espiatrice, corredentrice, vicina a Cristo, con assoluta gratuità: “…più la sofferenza è intima, meno appare gli occhi delle creature, più ti rallegra o mio Dio; ma se per assurdo tu stesso dovessi ignorare la mia sofferenza, sarei felice lo stesso di averla, se per suo mezzo potessi impedire o riparare una sola colpa commessa contro la fede”. Possiamo quindi affermare che la prova patita da Teresa assume diverse sfaccettature.
 
Tenendo in considerazione i termini stessi che Teresa adopera soprattutto nel manoscritto C, si nota come la notte nella speranza sia trattata dalla Santa nei termini della prova, della notte, della sofferenza, dell'aridità e della tentazione contro la fede… non è un periodo roseo quello vissuto da Teresa e la stessa rimarca più volte come la tentazione sembra avere il sopravvento nel suo animo spaesato.
 
Ogni consolazione è totalmente assente e la prova che ella vive segna inevitabili inevitabilmente la sua fede, il suo corpo e chi le sta vicino.
continua...


maggio - giugno 2022

Per meglio comprendere la situazione di Teresa non possiamo non tenere in considerazione il suo orizzonte teologico: solitudine, scoraggiamento, angoscia non sembrano prevalere sulla convinzione che Dio non mancherà di darle la fede e la forza in ogni momento per affrontare questa prova.

E Teresa gioisce per questo… la prova patita da Teresa riguarda propriamente la speranza.
 
Tale speranza è il dato ultimo da considerare per rileggere l'intera esperienza di prova della fede, una fede privata di qualsiasi consolazione, nuda, spogliata di tutto, ma capace di confidare in Dio anche quando sembra contraddittorio continuare a credere in Lui.
 
Un'ultima constatazione.
 
“Se questa prova è nella sostanza, continua, ha conosciuto gradi di intensità variabile. Sembra che essa si sia accentuata progressivamente, fino a raggiungere, talvolta, un maximum di violenza.
 
“Io ammiro il cielo materiale; l’altro cielo è per me sempre chiuso…si concepisce che i sentimenti provati da Teresa siano da prima di meraviglia, di sorpresa. Essa non se l'aspettava, ciò è sopraggiunto improvvisamente.
 
Sentimenti di stranezza, di incomprensibilità per lei e per gli altri, e quindi di solitudine: “…il buon Dio soltanto può capirmi…” sentimenti di scoraggiamento: “Come sento che mi scoraggerei se non avessi la fede!”  di angoscia: seduta a una mensa piena di amarezza, lei mangia il pane del dolore e soffre un tormento indicibile”.

Dio, tuttavia, non è assente e Teresa si abbandona alla sua volontà.
 
“Ora Teresa non sceglie più; neppure il dolore. Dio sceglie, mentre lei accetta soltanto, sceglie solo la scelta di Dio: “Non desidero né la morte nella vita; se il Signore mi lasciasse la scelta, non sceglierei niente, voglio solo ciò che Egli vuole; amo solo ciò che Egli fa”.

Nei suoi ultimi mesi Teresa ripete senza sosta questa massima:
 
“L'unica cosa che mi soddisfa e compiere la volontà del buon Dio.”
 
Come Teresa affronta la prova spirituale.
 
Entrando sempre più in contatto con la persona di Santa Teresa ci si accorge della qualità e dello spessore che assume tale figura spirituale e si comprende lentamente in cosa consiste la sua santità.
 
Ciò che affascina nella Santa non è da ricercare in una sofferenza eccezionale o in una lezione di spiritualità; Teresa invece sa incantare per il fatto che appartiene alla vicenda di tutti i giorni, che è semplice, realista, cruda.
 
È alla portata di tutti. La sua santità, il suo carattere e la sua determinazione emergono fin dalla sua infanzia, ma soprattutto negli ultimi mesi in cui viene messa alla prova con la malattia e la sofferenza spirituale.
 
Ci chiediamo: come Teresa affronta la malattia e i dubbi che le nascono nel cuore? Quale il percorso che porta la Santa a vivere e sopravvivere in questo paesaggio attorniato solamente dalla nebbia?
 
In seguito, ci soffermeremo sulle caratteristiche di Teresa, due in particolare: la gioia e il silenzio.
continua...


luglio - ottobre 2022

La tattica di fuga.
Se da un lato Teresa si pone di fronte alla malattia erigendo una barriera inaccessibile, dall'altro lato si accorge che l'atteggiamento intelligente davanti alla tentazione e la fuga: “Ad ogni occasione di lotta, quando i miei nemici vengono a sfidarmi, mi comporto da coraggiosa: sapendo che è viltà battersi in duello, volto le spalle ai miei avversari senza degnarli di uno sguardo; corro verso il mio Gesù.

Gli dico che sono pronta a versare fino all'ultima goccia il mio sangue per testimoniare che esiste un cielo”.  

Teresa continua a lottare, ma in maniera indiretta, schivando, fuggendo, rifiutando il duello diretto nella quale verrebbe certamente vinta.

In questi passaggi Teresa va compresa bene: rifiuta il duello per il fatto che accettando tale sfida, significherebbe prendere in considerazione ogni sorta di dubbio contro la fede che le salta per la testa, e nel suo animo. Battersi in duello vorrebbe dire partecipare al gioco del nemico, riconoscere il valore delle sue ragioni, e, in ultima analisi è offendere Dio, rifiutarli una fiducia totale. Battersi è una vigliaccheria, è tradire Dio e fuggire è il vero combattimento.

È per questo che Teresa decide, in modo risoluto, di fuggire ad ogni occasione il compromesso e la resa inevitabile che le viene proposta.

“Lei ritiene prudente non esporsi al combattimento quando la sconfitta è sicura. Come dire che si rifiuta di soffermarsi su quei pensieri che le sussurra la voce maledetta: “Mai ella ragionava in quei pensieri tenebrosi”.

Ella volge loro le spalle, senza degnarsi di guardarli in faccia, sapendo che non solo è inutile, ma anche molto pericoloso esaminarli da vicino, discuterne per calcolarne la validità: “State tranquilla non mi romperò il capo a tormentarmi “.  Possiamo pensare che ella si era già servita in precedenza di questa “tattica di fuga” astenendosi dal cogliere senza diffidenza gli impercettibili attacchi all'integrità della fede che si presenta sotto la forma indefinita e insidiosa dei “se” e dei “forse”.

Ciò non esclude che ella abbia desiderato appassionatamente una migliore cognizione della propria fede, lei che non ha mai cercato che la verità. Ma il suo istinto soprannaturale molto sicuro, le ha fatto evitare le insidie di una ricerca intellettuale soddisfatta di se stessa, attratta maggiormente dal suo cammino che dalla verità stessa. In Teresa non v'è alcuna temerità; ella non va incontro al nemico, è quest'ultimo che viene a provocarla. Non poteva venirle in mente di simulare le proprie difficoltà, di farne un gioco dello spirito, perché non poteva sopportare la finzione. “Io non fingo, è proprio vero che non ci vedo nulla”.

Teresa fa tesoro di ciò che le è stato insegnato; è in grado di discernere e cogliere la sostanza di queste tentazioni. Sa che la tentazione in sé non è peccato, che una difficoltà per trasformarsi in dubbio deve essere liberamente assunta in modo cosciente. E la teme addirittura di offendere Dio descrivendo la sua lotta interiore. “Non voglio andare avanti a scrivere, temerei di bestemmiare…ho paura persino di aver detto troppo...”. Questo combattimento nella notte e incessante: “Credo di aver fatto più atti di fede da un anno fino ad ora che non durante tutta la mia vita”.

Questa lotta è portata avanti in mezzo un gruppo di suore lontano mille miglia dal sospettare ciò che avviene nel cuore di Teresa e che sarebbero spaventate se conoscessero lo stato in cui si trova la giovane carmelitana. E’ questo un altro motivo del suo silenzio e della sua riservatezza.

Questo combattimento nella notte è la caratteristica della santità di Teresa, così nel bel mezzo della sua notte, scrivendo le poche righe del manoscritto B - uno dei più bei testi spirituali che esistono - paragona la santità che cerca di vivere, con quella dei santi dicendo che questi stessi santi hanno fatto follie, hanno compiuto grandi cose.

La vita di Teresa invece consiste nello sperare e questo è il suo slancio d'amore verso Gesù.
continua...


novembre - dicembre 2022

Nello sviluppo del medesimo concetto Teresa utilizza anche un'altra immagine; la diserzione.

È un altro mezzo estremo per vincere il combattimento. Il termine è nuovo nel suo vocabolario e va compreso bene. Dissezione è una parola che va oltre il rifiuto del duello; se quest'ultimo vuole indicare la resistenza alla provocazione, la decisione della non lotta è quindi una scelta precisa personale, diserzione traduce invece un comportamento sociale che agli occhi di tutti può sembrare vigliaccheria.

Teresa usa quest'arma nella lotta spirituale: lascia il terreno sul quale potrebbe prendere troppo facilmente una decisione che non sarebbe affatto una decisione. Non solo decide di non dialogare col nemico in luogo di tentazione, ma le volge le spalle abbandonando il campo di lotta in modo tale da non lasciare al tentatore nessun spazio di intervento. Teresa, comportandosi in questo modo, non solo guadagna energia e tempo, ma soprattutto, ancora una volta, lascia che sia Dio a condurla sulla via della santità.

L'affermazione della propria fede.

Più si approfondisce la vita di questa Santa e più ci si rende conto di quanto è straordinario il suo comportamento, la sua reazione, la sua modalità di affrontare questo terribile momento della sua vita. Teresa, sperando contro ogni speranza, va avanti, prosegue nelle tenebre che l'avvolgono, nei dubbi, nei molti interrogativi che la affliggono …se continua a resistere alla tentazione dell'avversario, se continua a utilizzare la fuga, la diserzione, è comunque per affermare e riaffermare la sua fede in Gesù Cristo.

“Ad ogni nuovo occasione di lotta… corro subito verso il mio Gesù”.  

In un certo qual modo, ella rinnova la totalità del suo impegno per Dio, per Gesù, facendo atti di fede, moltiplicati quanto è necessario.
Il suo animo vive nella convinzione che esiste un Dio oltre quelle tenebre che oscurano il suo cuore.

La cosa più evidente è che la prova è fatta soprattutto di tentazioni riguardo del cielo e quindi della sua fede: esiste un cielo?  Qual è il legame con questo mondo terreno?...

Queste e altre domande sembrano affiorare nella mente di Teresa. La parola cielo - la prima che ha imparato a leggere, l'ultima che il papà le ha ricordato - era sempre stata per lei il luogo sintetico per parlare di Dio: “Il pensiero del cielo era tutta la mia felicità”.
In quanto credere e sperare vuol dire amare, Teresa continua a compiere atti di fede e atti di speranza, anche quando non ne percepisce più il senso e il gusto, e, a volte nemmeno il significato.

Li compie in modo più fisico possibile scrivendo con il proprio sangue la formula del Credo e portandola sempre sul cuore - suggerimento del padre G. Madalaine, scrivendo sulla porta della sua cella: Gesù è il mio unico amore -  la sua prova era talmente grande che bisogna incidere questa frase nel legno come una specie di affermazione della sua fede molto forte; aderendo con la volontà e con il cuore a tutti i gesti, i pensieri e le immaginazioni che gli vengono suggeriti, passando notte insonne a guardare l'immagine del Santo volto che ha fatto appendere alle sponde del suo letto. Teresa ringrazia per il dono della fede, se non l'avesse avuta non avrebbe mai potuto sopportare tante sofferenze, forse si sarebbe data alla morte senza esitazione.

Teresa stessa è quasi sorpresa dal fatto che non sia maggiore il numero degli atei che si suicida; questo indica fino a che punto la fede la sostenga nel sopportare la sua tormentosa malattia.

Non cessa di subire fortemente questi pensieri tenebrosi, ma mentre li subisce continua a compiere atti di fede.  
continua...


gennaio - febbraio 2023

Nasce dalla tentazione il pensare che le beatitudini sono illusorie o addirittura pensare che Dio non si interessi dell'anima, pensare che Egli l'abbandoni a sé stessa nei suoi ridicoli sforzi per raggiungere lo scopo promesso.

Quello che viene minacciato in modo radicale in Teresa è la fiducia nell'amore misericordioso; quell'amore a cui si era affidata qualche mese prima di ammalarsi. Rivediamo questa fase decisiva della Santa. Nel giugno precedente l'anno della malattia, esattamente il 9 giugno Teresa, guidata dallo Spirito Santo, intuisce che il suo cammino spirituale deve giungere alla pienezza compiendo un gesto singolare: ella si offre vittima all'Amore Misericordioso.

Ripercorriamo insieme questi momenti: “Il mattino della domenica del 9 giugno la comunità partecipa alla messa della Santissima Trinità; un'improvvisa ispirazione sorge in Teresa: deve offrirsi vittima al Dio di olocausto all'amore misericordioso.

Questa convinzione le s’impone fortemente. Esce dalla cappella trascinando con sé Celina, stupita, dietro Madre Teresa, che si dirige verso la ruota. Il viso rosso, commossa e impacciata, balbetta che vorrebbe offrirsi vittima all'amore insieme con la sua sorella novizia…preoccupata da altri pensieri e senza attribuirvi troppa importanza, la priora accorda il permesso.

Colma di gioia Teresa si isola insieme con Celina. “Con lo sguardo infiammato” le manifesta in breve il suo progetto: “Pensavo alle anime che si offrano vittime alla giustizia divina, per stornare e attirare su di sé i castighi riservati ai peccatori”.

L'anno precedente si era letto il refettorio la lettera stupenda storia di Mary Agnes di Jesus, la quale appunto, si era offerta vittima alla giustizia di Dio. Teresa sapeva che nel suo stesso Carmelo anche suor Maria della Croce si era offerta vittima ed era morta nel 1882, dopo trent'anni di sofferenza. Più vicino a lei, la cara madre Genoveffa aveva seguito questa strada. La giovane Teresa prende nettamente le sue distanze da questa spiritualità:” Quell'offerta mi sembrava grande e generosa, ma ero lontano dal sentirmi portata a farla”.  Lei vuole offrirsi non alla giustizia, ma all'amore misericordioso.
 
Redige pertanto il suo atto di offerta e il martedì 11 giugno inginocchiata con Celina davanti alla statua della Vergine del sorriso, lo pronuncia in nome proprio e in nome della sorella. “Ah, mio Dio, Trinità beata! Io desidero amarvi e farvi amare, lavorare alla glorificazione della Santa Chiesa salvando le anime che sono sulla terra e liberando quelli che soffrono nel purgatorio. Desidero compiere perfettamente la vostra volontà e arrivare al grado di gloria che mi avete preparato nel vostro Regno; in una parola, desidero farmi Santa, ma sento la mia impotenza e vi chiedo, un mio Dio, di essere voi stesso la mia santità”.

Questo atto di offerta risponde al moto interiore che ha animato la scoperta della piccola via della fiducia.
 
Ma diversa nell'espressione simbolica. Il fuoco ha sostituito l'ascensore, essendo l'olocausto il sacrificio totale della vittima consumata appunto dal fuoco dell'amore.  “Per vivere in un atto di amore perfetto, mi offro come vittima di olocausto al vostro amore misericordioso, supplicandovi di consumarmi incessantemente lasciando riversare nella mia anima i flutti di tenerezza infinita che sono racchiusi in voi, così che io divenga martire del vostro amore, oh mio Dio! Che questo martirio, dopo avermi preparata a comparire al vostro cospetto mi faccia infine morire, e la mia anima si slanci senza ritardo nell'abbraccio del vostro amore misericordioso…oh mio diletto, voglio rinnovarvi quest'offerta ad ogni battito del mio cuore un numero infinito di volte fino a quando, svanite le ombre io possa dirvi il mio amore in un eterno faccia a faccia!”
 
Nuova tappa decisiva di questa vita nascosta; Celina non comprende molto bene ciò in cui è stata impegnata, ma Teresa lo sa bene: è già arrivata al culmine della via che ha scoperto. A colui che ha dato la vita per lei, lei non può donare la sua in pienezza. "Amare è dare tutto se stessi… Amore per Amore
continua...


marzo-aprile 2023

Anche nei momenti più difficili continua ad affermare che esiste un Dio, che lo ama; ripete spesso su di lei il segno della Croce anche se le costa fatica fisica; abbraccia il suo Crocifisso con tenerezza; insiste per ricevere il sacramento dei malati e gode di questa presenza.
 
Ne è rattristata nel vedersi privata della comunione, ma, ormai, si rende conto che lei stessa è divenuta un sacrificio vivente. E più cresce la fede maggiori sono le prove: a quelli che hanno una fede piccola, Dio accorda dei miracoli per rafforzare la loro fede; ai suoi intimi, non accorda miracoli, ma promette delle prove”. Teresa comprende che non può chiedere aiuto ad alcun sostegno esterno per rimanere in piedi in quella tempesta: ella aveva capito che nessuna spiegazione, nessuna verifica o dimostrazione razionale, nessuna prova umana poteva esonerarlo da una pratica che nessun altro poteva fare in vece sua, “obbedire alla fede, rinnovando la propria adesione totale, appoggiandosi unicamente alla Parola di Dio.
 
Per questo non c'era che un mezzo, fortificare la propria fede esercitandola…Teresa accetta deliberatamente l'oscurità inerente alla fede: Ho desiderato non vedere il buon Dio e i santi e restare nella notte della fede più di quanti altri desiderano vedere e comprendere “.
 
E ancora, “E' soltanto in cielo che vedremo la verità su ogni cosa. Sulla terra è impossibile”. Si sforza,pur non avendo il godimento della fede…di farne le opere”.  Teresa dimostra in questa prova, di conoscere bene i moti interiori dell'animo. Sa che non bisogna fidarsi dei propri sentimenti perché variano a seconda delle circostanze e dell'umore, inoltre sono inadeguati all'incontro con Dio. Per trovare Dio in spirito e veritàc'è bisogno di un abbandono profondo”: l'anima attraverso la libertà, deve voler credere.
 
Teresa di fronte ai dubbi reagisce in un modo determinante conservando un'accoglienza al dono della fede: “Canto semplicemente ciò che voglio credere”. Teresa comprende subito che da sola, non è in grado di superare questa prova, se conta ultimamente solo sulle sue forze; ella è sicura che queste stesse prove aumenterebbero, e non sarebbe più in grado di sopportarle. Da qui nasce l'abbandono radicale in Dio.
 
Sa che la fede stessa è una grazia e che Dio è aiuto indispensabile per conservarla, sa che la resistenza e la fuga di fronte al nemico è possibile nella misura in cui è ella confida in Dio della speranza. Solo così sarà in grado di affrontare con serenità questa prova: se ella si mantiene salda e perché Dio la sostiene, è Lui che sceglie per Teresa e lei acconsente, accetta ciò che Egli vuole da lei. “Ora non ho più desiderio alcuno, se non quello di amare Gesù alla follia…non desidero più né la sofferenza, né la morte e tuttavia le amo tutte e due, è l'amore solo che mi attira…ora è l'abbandono solo che mi guida, non ho un'altra bussola!...e non posso neppure domandare nulla con ardore tranne il compimento perfetto della volontà di Dio sulla mia anima…posso dire queste parole del canto spirituale del nostro Santo Padre Giovanni della Croce: “…non ho altro ufficio perché ora il mio esercizio è solo amare”.  
 
Non solo la prova fisica non riusciva a spegnere la tenerezza che Teresa provava per il suo Dio, ma la cresceva al punto tale che era lei a preoccuparsi delle sofferenze che certo Egli doveva sentire nell'inviarle quella prova così dolorosa.!... Ma l'aiuto che viene da Dio non è sentito, esso viene momento per momento e in un modo talmente segreto che Teresa ha piuttosto l'impressione di essere completamente abbandonata nella sua notte, nelle sue sofferenze fisiche, nelle sue angosce dell'anima.  Ella prova il sentimento dell'assenza di Dio “come se” fosse caduta nell'incredulità, vive psicologicamente l'abbandono proprio degli atei. Non sono le consolazioni sensibili che le sue sorelle le offrono quelle che possono alleviare questo indescrivibile tormento.
 
Ma queste tenebre interiori sembrano rimettere in causa non soltanto la sua adesione di fede, ma allo stesso modo, lo slancio della sua speranza sotto forma di dubbio circa la fedeltà di Dio, nel mantenere le Sue promesse.
continua...


maggio - giugno 2023

Qualche giorno dopo, mentre nel coro inizia una Via Crucis privata, è colta da un violento impeto di amore per il Signore che si sente come interamente immersa nel fuoco. “Bruciavo d'amore e sentivo che un minuto, un istante in più, non avrei potuto sopportare questo ardore senza morire”.
 
Per lei è la conferma da parte di Dio dell'accettazione della sua offerta. Teresa, dopo il 9 giugno 1895, vive con serenità e entusiasmo questi slanci d'amore e di successive conferme da parte di Dio; tutto questo dura fino a che ella entra improvvisamente nella prova spirituale a partire dalla dall'aprile del 1896. Le sembra che quella reciprocità di amore totale sia cessata tutto ad un tratto. Dio va celandosi nel silenzio della sua duplice notte.  Qui Teresa comprende che all'abbandono apparente di Dio doveva corrispondere una rimessa totale da parte sua, un abbandono non meno totale nelle mani di Dio.
 
“Un simile abbandono non è rinunzia ma accettazione definitiva senza riserva, della volontà di Dio qualunque essa sia".
 
Si tratta quindi della forma più alta della fede, di una fede spoglia che si appoggia su alcun motivo umano; e soprattutto la forma più pura di un amore pervenuto ad una pienezza che si esprime con una fiducia cieca nella misericordia di Dio, nonostante tutto ciò che sembra contraddirla.
 
No, Dio non l'abbandona nel cuore della sua notte. Egli non può abbandonarla, egli non l'ha mai abbandonata: “Io lo amo! Non mi abbandonerà mai!.." Teresa ripete la sua certezza senza stancarsi e, facendo questo, dava la risposta più pertinente e completa alle proprie tentazioni contro la fede. In nessun momento, si porrà dei quesiti sulla bontà di un Dio che la lascia soffrire in tal modo; invece, di accusarlo di indifferenza, o anche di crudeltà come ha fatto Giobbe, ella trova il modo di rendergli grazie, di ringraziarlo per ciò che soffre.
 
Fa questa straordinaria esclamazione: “Quanto occorre che il buon Dio sia buono perché io possa sopportare tutto ciò che soffro!"
 
Ella sa che chi Egli è presente, che è Lui che le permette di poter andare tanto lontano in questo martirio che per l'appunto, quel martirio d'amore che lei ha tanto desiderato. Ella ha capito che la sua perseveranza nella fiducia costituiva la misura del suo amore, che Dio attendeva da lei” ancor più testimonianze di abbandono e di amore”. …
 
La Vergine del sorriso.
La figura della Vergine diventa per Teresa un luogo di rifugio di consolazione, di gioia per affrontare il difficile periodo della malattia corporale e della prova spirituale.
 
Sin da piccola aveva “respirato in casa il richiamo della Vergine attraverso l'amoroso legame che univa Teresa con i genitori e le sue sorelle.
 
Teresa comprende subito che la Madonna sarà per lei un punto di riferimento nella sua vita.
 
Analizziamo cosa è successo a Teresa all'età di 10 anni. Paolina è appena entrata in Carmelo e Teresa, che l'ha considerava una seconda mamma, ne risente spiritualmente e fisicamente tant'è che “Teresa è colta da un forte tremito, ha freddo, si agita”.
 
Al ritorno, il farmacista vedendo la nipotina in quello stato, se ne preoccupa e il giorno seguente chiama il dottor Notta. La diagnosi è imprecisa e pessimista: “Malattia grave da cui non è mai stata colpita una bambina così piccola”. Prescrive una cura idroterapica.  La domestica Marcellina è testimone di un “tremore nervoso al quale succedono crisi di terrore e di allucinazioni che si ripetono più volte al giorno; negli intervalli l'ammalata è debolissima e non la si può lasciare sola.  Dopo la crisi conserva il ricordo chiaro di ciò che è passato”.

Anche Giovanna Guerin ha testimoniato in modo simile: “Nel periodo più acuto della malattia Teresa ha avuto varie crisi motorie, nelle quali faceva movimenti rotatori di tutto il corpo movimenti di cui sarebbe stata incapaci in stato di salute”. “La malattia scriverà un giorno Teresa, divenne così grave che, secondo i calcoli umani non dovevo più guarire” …
continua...


4 luglio 2023 - 🕑 3 minuti di lettura
luglio - agosto 2023

Il giorno seguente c’è una ricaduta ancora più grave.” Dicevo e facevo cose che non pensavo, sembravo quasi sempre in delirio; pronunciavo parole senza senso; eppure, sono sicura di non essere rimasta un solo istante senza l’uso della ragione…Molto spesso sembravo svenuta, senza potermi muovere affatto, e allora mi sarei lasciata fare qualsiasi cosa, anche uccidere, e tuttavia ero consapevole di tutto ciò che si faceva attorno a me, ricordo ancora tutto”. Maria, che le stava molto spesso accanto e la curava e la consolava con la tenerezza d’una madre, è testimone delle sue allucinazioni…Il signor Martin si domandava angosciato se questa povera bambina che sembra un idiota morirà o resterà tutta la vita in quello stato. Tutta la famiglia prega, insieme alle carmelitane…S’implora un miracolo. Nella camera di Maria – dove è sistemata Teresa – viene collocata la statua della Vergine che ha sempre seguito la famiglia nei suoi trasferimenti…
 
Il giorno di Pentecoste, durante la novena a Notre-Dame, mente Leonia assiste Teresa, l’ammalata non cessa di chiamare, “Mamma, Mamma!”. Maria, che si trova in giardino, la sente e si reca in camera. La sorella non la riconosce e continua il suo lamento. Ogni sforzo per convincerla è vano. Allora Maria, Leonia, e Celina s’inginocchiano accanto al letto e si volgono in preghiera verso la statua della Vergine.
 
A pregava con tutto il cuore d’aver finalmente pietà di lei… D’un tratto la Madonna mi sembrò così “bella”, così “bella”, che io non avevo mai visto nulla del genere; il suo volto emanava una bontà e una tenerezza ineffabili; ma quel che mi penetrò fino in fondo all’animo fu il “Sorriso incantevole” della Madonna. Allora tutte le mie pene svanirono, due lacrimoni silenziosi spuntati dalle palpebre rigarono le mie guance, ma erano lacrime di una gioia senza nubi…pensai, come sono felice, la Madonna mi ha sorriso…
 
Le tre sorelle sono testimoni della scena e dell’improvviso sollievo dell’ammalata. Il giorno dopo Teresa riprende la vita ordinaria…
 
Dodici anni dopo Teresa darà la sua interpretazione della malattia…
 
La malattia da cui fui colta veniva certamente dal demonio.
 
Furioso per l’entrata di Paolina al Carmelo, volle vendicarsi su di me di tutti i torti che la nostra famiglia gli avrebbe fatto in avvenire.
 
E aggiunge:” Ma la mia anima era ben lontana dall’essere matura!”
 
La guarigione stessa diviene presto per la bambina causa di un duplice martirio interiore. Aveva promesso a sé stessa di conservare il segreto del sorriso della Vergine, ma la sorella Maria l’ha indotta a parlare e ne ha informato le carmelitane. Si grida allora al miracolo!
 
Teresa d’ora in poi sarà oggetto di riguardo da parte delle sorelle e delle carmelitane. Si pensa che la piccola Teresa sia stata miracolata dalla Beata Vergine Maria attraverso la statua collocata nella camera dove Teresa era assistita. La si guarda con occhi di riguardo e, fin da subito, ella sarà la miracolata, la piccola santa; addirittura, si avanza l’ipotesi che Teresa non abbia mai peccato… Tutto questo influenzerà, non sempre in positivo, il cammino l spirituale di Teresa.
 
Come già accennato 13 anni dopo il fatto del “sorriso della Vergine”, entra nella sua passione, nella sua prova.
 
Quando già le sue condizioni erano precarie, l’8 luglio 1897, si fa discendere Teresa dalla sua cella all’infermeria. Da questa stanza 4m per 5 che dà sul giardino, ella può vedere la statua della Vergine del sorriso che era stata trasportata qui.
 
Questo, d’ora i avanti, è tutto il mondo di Teresa. La piccola carmelitana intratteneva un particolare rapporto con la Santa Vergine. Quando ormai soffriva molto, fisicamente, anche a causa della crisi di soffocamento, volle dedicare un poema alla Madonna, dal titolo “Perché ti amo, Maria”.
continua...


3 settembre 2023 - 🕑 4 minuti di lettura
settembre - ottobre 2023

Quando ormai soffriva molto, fisicamente, anche a causa della crisi di soffocamento, volle dedicare un poema alla Madonna, dal titolo “Perché ti amo, Maria”.

In essa contempla la vita di Maria proprio con le categorie della partecipazione alle sofferenze della gente e della compassione che ne deriva, delineando una sorta di inno liturgico in 25 ottave.

Commenta così passo passo l’itinerario della vita di Maria come risulta dai Vangeli, sottolineando i momenti in cui la Madre di Gesù ha scelto di condividere le nostre umiliazioni, le nostre pene, fino a menzionare per la Vergine santa la notte della fede.

Nella poesia esprime in modo semplice e profondo il ruolo di Maria nell’opera della redenzione e insieme la propria relazione affettiva con la Madonna; scruta con gli occhi dell’amore i misteri da lei vissuti, la sua presenza al Calvario, il dolor per il distacco dal Figlio, il cammino di fede nuda, pura.

Aveva infatti confidato alla sorella Celina (Suor Genoveffa): “Ho ancora qualcosa da fare prima di morire. Ho sempre sognato di dire in un canto alla santa Vergine tutto ciò che penso di Lei”.

L’icona di Maria nella sofferenza e nella prova è quindi la chiave di lettura per comprendere la vita. Teresa ricorda tutte le vicende che hanno segnato l’esistenza di Maria, specialmente alla luce della profezia di Simeone: “Regina dei martiri, è la spada che trafiggerà il tuo cuore finché avrai vita”. La strofa centrale è forse la n 16:” Se il Re del Cielo volle che anche sua Madre subisse la notte, l’angoscia del cuore, è dunque allora un bene soffrire qui in terra?...Sì…Patire amando è la più pura delle  gioie”. Teresa interpreta il mistero di Maria quale ingresso nella notte e ne deduce che anche la sua notte, la sua sofferenza amorosa, è gioia grande. Ma che cosa l’attira maggiormente in Maria?

“Vergine piena di grazia, io so bene che a Nazaret vivesti poveramente, senza chiedere nulla di più: né estasi, né miracoli, ne rapimenti abbellirono la tua vita, o Regina degli eletti.

I poveri, gli umili, sono tanti su questa terra; essi possono, senza timore, alzare gli occhi a Te. Tu sei l’incomparabile Madre che va con loro per la strada comune, per guidarli al Cielo.”

Sul letto di morte Teresa amava ripetere alla lettera questi versi che nell’ultimo maggio aveva scritti alla Madonna.

Alle sorelle che vedeva addolorate per le sue crescenti sofferenze, disse: “Vorrei proprio avere una bella morte, per farvi piacere.
L’ho chiesto alla Vergine Santa.

Non l’ho chiesto al Buon Dio, perché voglio lasciargli fare come vorrà. Chiedere alla Santa Vergine non è la stessa cosa. Lei sa bene ciò che deve fare dei miei piccoli desideri, se bisogna che li dica o non li dica…infine, sta a Lei vedere di non costringer il Buon Dio ad esaudirmi, per lasciargli fare in tutto la sua volontà.

La gioia e il silenzio sono le caratteristiche fondamentali che riassumono l’atteggiamento di Teresa davanti alla notte del nulla.  
Apparentemente i due termini sono contrapposti: non c’è gioia se non c’è comunicazione, se non c’è dialogo, se ci si chiude nel silenzio.

La gioia per essere tale va comunicata!

Affrontiamo ora queste due tematiche per mettere in evidenza il significato profondo che esse assumono in Teresa.

Innanzitutto, parlando di gioia comprendiamo che è una caratteristica non solo degli ultimi anni, ma di tutta la sua vita. Teresa, l’ultima arrivata, “era il sorriso e l’ornamento della casa” dice la mamma Zelie e prosegue:” come sono felice d’averla in casa”.

In fin di vita la gioia di Teresa sarà motivata dalla certezza di vivere per l’Amato.

Nel parlare del silenzio accenneremo ad un modo singolare di relazionarsi con le persone: i silenzi di Teresa dicono contemporaneamente umiliazioni, nascondimenti…santificazioni.
continua...


5 novembre 2023 - 🕑 4 minuti di lettura
novembre e dicembre 2023

La Gioia

Umanamente parlando sembra impossibile accennare alla gioia nella vita di una persona colpita da malattia terminale e dispersa nel buio spirituale.

La situazione diventa insostenibile, invivibile; tutto sembra crollare addosso. In questi casi i motivi di consolazione non sono immediatamente percettibili; emergono più emotivi di disperazione, di lamentela…causati dalla malattia e dallo sconforto spirituale.
 
Teresa, nel vivere e patire questa esperienza, fa emergere i suoi tratti di santità. La parola gioia non manca nel suo vocabolario nemmeno negli ultimi mesi negli ultimi giorni di passione.  “Il 5 luglio 1897, alla vigilia della ripresa degli attacchi più gravi di emotisi, Teresa dice a sua sorella Agnese:” Non rattristarti se sono ammalata, mia piccola Madre, perché vedi come il buon Dio mi rende felice. Sono sempre gaia e contenta. “

A dire il vero, Teresa non ha saputo trasformare immediatamente la sua sofferenza in gioia; lo spiega con grande chiarezza il 31 luglio 1897.
 
“Ho trovato la felicità e la gioia sulla terra, ma solo nella sofferenza, perché ho sofferto molto a questo mondo; bisognerà farlo sapere alle anime…sin dalla mia prima comunione, da quando ho chiesto a Gesù di tramutare in amarezza per me tutte le consolazioni della terra, ho nutrito il desiderio costante di soffrire. Tuttavia, non pensavo di farne la mia gioia; è una grazia che mi è stata concessa solo più tardi. Fino a quel momento era come una scintilla nascosta sotto la cenere come i fiori di un albero che devono diventare frutti quando giunge il momento.
 
Ma vedendo sempre cadere i miei fiori, ossia lasciandomi andare alle lacrime quando soffrivo mi dicevo con stupore e tristezza:” Dunque saranno sempre niente altro che dei desideri!”.
 
Teresa va comprendendo che per vivere bene la malattia è sufficiente accettare la propria sofferenza come viene offrendola al Signore con tutto il cuore e credendo profondamente che non sia inutile e questo diventa la gioia vera di Teresa. Inoltre, Teresa pensa che se Gesù le ha fatto vedere la realtà dell'incredulità e l'ha fatta perfino partecipe nella notte dell'incredulità, e perché essa rovesci la situazione: perché viva quello stato di tenebra per i non credenti.
 
Da allora diviene per lei una gioia nuova, che non aveva mai provato prima, la gioia di non vivere la gioia della fede! Uno degli aspetti più vivi dell'originalità di Teresa sta nel fatto di ripresentare con chiarezza la croce si trova nel cammino della felicità. La felicità di Teresa consiste nell'amare ‘Qualcuno’ e tutti gli uomini; per questo ella può sopportare ogni cosa ed essere felice, se non in superficie, almeno per l'essenziale.
 
Non è questione di essere forti, ma di essere umili perché nella nostra vita trionfi l'amore. Non è la croce la vera difficoltà, bensì la capacità di cedere nei nostri stessi confronti, cosa che ci permette di darci a Dio.
 
A questo punto ci si può chiedere se Teresa sia riuscita vittoriosa o meno da questo combattimento.
 
Per avere una risposta non è necessario consultare quanto si è scritto dopo la sua morte. E la stessa lasciava intravedere questo esito felice durante il periodo stesso della prova, nella sua resistenza fiera, negli atti di fede e di amore nella sua fiducia irremovibile, ma ancora: attraverso i suoi giochetti gli scherzi i giochi di parole, le evocazioni di canzoni del passato, le sue premure per distrarre e divertire le sorelle… la sua gioia e la sua serenità si sprigionano dal suo essere a tal punto che le sorelle ne sono colpite e dimenticano talvolta che hanno a che fare con una malata molto grave. Teresa certamente soffre molto, ma è nella gioia e nella pace. “Madre amata, lei la conosce questa prova, tuttavia gliene parlerò ancora, perché la considero come una grazia che ho ricevuto sotto il suo priorato benedetto”.  
 
Per Teresa parlare della prova non è una fatica: la croce che è chiamata a portare al Carmelo è già un richiamo di gioie, pur nel dolore e nella solitudine: lo Sposo le è vicino e presto lo contemplerà personalmente nel Regno dei cieli.  E questo basta a Teresa.
continua...




9 gennaio 2024 - 🕑 4 minuti di lettura
gennaio e febbraio 2024

Il silenzio

Una seconda caratteristica di Teresa la troviamo nel silenzio: non si tratta di un silenzio della vacuità, né un silenzio provocato dal terrore; quello di Teresa è un silenzio che sfocia in una comunione. Teresa trasforma gradualmente la sua inquietudine, la sua solitudine e l'angoscia del silenzio in preghiera.

E con il silenzio, su esempio di Cristo, che la preghiera mette Teresa in contatto con Dio più di quanto non faccia la parola. Teresa vede nella forza del silenzio un'occasione per imitare Cristo e la Vergine: non è solo un imitare la vita nascosta di Nazareth, ma un appello ad unirsi a Colui che per tutta la vita ha taciuto la propria divinità e si è umiliato. Qui, inoltre, il silenzio diventa ciò che, in mezzo alle difficoltà più gravi, rivela meglio il suo desiderio di lasciare l'iniziativa a Dio.

“La vostra forza sarà nel silenzio e nella speranza” recita la regola del Carmelo.

Riportiamo di seguito alcuni episodi che confermano quanto sin qui detto sul silenzio di Teresa.
Emottisi: per 14 mesi, dall'aprile del 1896 al maggio del 1897, non disse nulla delle sue emottisi alla sorella, Madre Agnese.

settembre 1896, dopo essere rimasta in silenzio e nell’aridità: “Non crediate che io nuoti nella consolazione, no! La mia consolazione sta nel non averne sulla terra. Senza mostrarsi, senza far sentire la sua voce, Gesù mi istruisce in segreto”.
Per due anni non dice nulla a Madre Agnese di Padre Rouland, missionario che le è stato affidato come fratello spirituale.
 
giugno 1897: “Mi credono meno malata di quanto sia in realtà…per me che importanza ha che si pensi o si parli a caso…non vedo perché dovrei affliggermi di ciò”.  “Lasciarsi prendere quello che vi appartiene senza richiederlo indietro: “Se è difficile dare a chiunque chieda, è ancora più difficile lasciarsi prendere quello che ci appartiene senza richiederlo.

29 luglio 1897. Una suora del Carmelo si stupisce dal fatto che si parli di Teresa come di una Santa quando invece non ha sofferto.
Teresa è al culmine della malattia che la porta all'agonia.
Non risponde nulla quando viene a sapere di questa osservazione e si limita a dire: “Mi fa bene vedere l'opinione delle creature nel momento della morte!”. Un mese prima della morte Teresa soffriva molto e gemeva:
Mia piccola Madre… sì lo voglio…non devo lamentarmi più perché non serve a niente. Pregate per me mie piccole sorelle, ma non in ginocchio, sedute”. Durante il processo, le allusioni al silenzio sono spesso raccolte sotto le voci “forza” o “prudenza”.

Le testimonianze delle altre suore ne parlano spesso, tanto quanto le sorelle di Teresa, come di un aspetto saliente del suo comportamento. Confronta, oltre a quelle che abbiamo citato: suor Teresa di Sant'Agostino: “Teresa non cercava mai giustificazioni”; suor Maria Maddalena: “Ho notato anche quanto fosse silenziosa “; suor Maria degli Angeli riguardo al freddo”.  Lei stessa ne parla costantemente, e lo spiega con chiarezza. È semplice, inaspettato, vario quanto le condizioni della vita quotidiana: imparare a non difendersi, a non giustificarsi e a non giudicare in modo affrettato, a rispettare i segreti, a versare il proprio sangue pur di tacere.

“Quando siamo incomprese o giudicate negativamente, a che pro difendersi, a che pro cercare delle giustificazioni?  Meglio lasciar perdere, non dire nulla; è così dolce non dire niente, lasciare che gli altri ci giudichino non importa come!

Nel Vangelo vediamo l'esempio di Santa Maddalena che non si è giustificata quando la sorella l'accusava di stare ai piedi di Gesù senza fare nulla. Non ha detto: “Marta, se tu sapessi la felicità che provo, se tu sentissi le parole che sento! E poi è Gesù che mi ha detto di restare lì”. No, ha preferito tacere. Benedetto il silenzio che dà così tanta pace all'anima.
continua...




5 di marzo  2024 - 🕑 4 minuti di lettura
marzo e aprile 2024

“Mi consigliava di non metterla mai a parte di un motivo di malcontento quando ero ancora alterata. Diceva, quando parli di un contrasto, anche a nostra madre, non farlo mai con l'obiettivo di lanciare un avvertimento alla sorella che ne è la causa, o di porre fine alla cosa di cui ti lamenti; parlane invece con il cuore libero.
 
Quando non ti senti in questa condizione e c'è ancora una scintilla di passione nel tuo cuore, è meglio tacere e attendere…perché spesso continuare a pensarci non fa che inasprire.”
 
Ella ha sempre messo in pratica questo consiglio con il suo comportamento personale e non l'abbiamo mai vista correre dalla nostra Madre nella passione del dissidio. Aspettava sempre di riprendere il controllo di sé stessa.
 
La sua sorella maggiore, Maria, ne è quasi stupita:” Non è consuetudine vedere sempre la stessa costanza d'animo, lo stesso sorriso sulle labbra perfino nell'ora della grande prova… tanto che ho conosciuto le sue sofferenze, ad esempio nelle grandi tentazioni contro la fede, solo attraverso la lettura del suo manoscritto, dopo la morte”.
 
“Aveva la stessa inclinazione alla riservatezza e alla tenacia della madre Zelia Martin; ma in lei tale inclinazione diventa un segreto per tutta la vita: la giovane accetta di essere “nulla” e di sapere di essere considerata tale…e grazie allo straordinario nell'ordinario che per tutti si precisa una santità possibile”.

Il senso della notte della speranza
 
Nel capitolo precedente abbiamo messo in evidenza quanto Teresa ha sofferto nella sua vita e, in particolare, negli ultimi mesi che la conducono alla morte. Abbiamo tratteggiato dapprima il valore della prova spirituale vissuta nella malattia terminale; poi il linguaggio usato da Teresa nel descrivere la prova; infine abbiamo scoperto il percorso spirituale utilizzato per vincere la tentazione contro la fede (la resistenza, la fuga, la fede, l'abbandono a Dio e alla Vergine Maria) e gli atteggiamenti di tale notte (la gioia e il silenzio). Nascono spontanei ora alcuni interrogativi.
 
A che cosa è servito?
 
Cos'è cambiato in Teresa durante questi 18 mesi?
 
Possiamo parlare di frutti nati da tale prova?
 
In cosa Teresa è stata purificata?...
 
Le domande si moltiplicano e richiedono un'analisi accurata dei guadagni spirituali emersi proprio da quelle immagini dipinte da Teresa: le fitte tenebre, paesaggi circondati da nebbie, muri inaccessibili… la trattazione si distingue ora in due parti: dapprima focalizziamo i frutti emersi nel cammino vissuto da Teresa; ci chiediamo quali sono i luoghi spirituali purificati dalla grazia.
 
In un secondo momento avremo modo di concentrarci sulla piccola via di Teresa: anch'essa risente di tale prova.
 
I frutti della prova la purificazione
 
in questo paragrafo che apre l'orizzonte sulla fruttuosità dell'esperienza teresiana, vogliamo cercare di evidenziare i luoghi di purificazione vissuti dalla Santa, luoghi in cui ella si sente visitata dalla Grazia.
 
Se è vero che la preghiera assume la sua autenticità passando di lotta in lotta, allora per Teresa possiamo parlare di un periodo in cui la relazione con Dio diventa pura, limpida, vera, pur mantenendo la difficoltà di affrontare l'esperienza concreta della tubercolosi.  
 
Con il termine purificazione si vuole indicare il cammino che porta Teresa all'abbandono totale in Dio. Un percorso che è segnato da continue tentazioni del maligno e da successivi atti di fede, da lotte e consolazioni, tra lacrime e sorrisi.
 
È qui che si scopre la vera Teresa del Bambin Gesù.
 
È qui che il suo amore verso il prossimo e il suo condividere la tavola dei peccatori assumono la loro vera autenticità, la loro credibilità. Analizziamo allora questi luoghi spirituali cercando di cogliere la reciproca complementarità dell'atto di speranza e di volontà di Teresa e dell'intervento della Grazia nella sua vita.
continua...



maggio 2024 - 🕑 4 minuti di lettura
maggio e giugno 2024

Grazia della prova
Come ha già abbiamo potuto notare in diversi passi, Teresa nella vita non è stata risparmiata dalla malattia; fin dalla tenera età ha dovuto far fronte a diversi disagi non solo fisici, ma anche soprattutto morali.  Può stupire il fatto che al termine della sua vita ella subisce questa duplice prova del corpo e dell'anima.
 
Si osserva che, se era esperta a riguardo delle sofferenze del cuore, ora le manca, per essere completamente configurata al mistero della Croce, di provare la sofferenza del corpo di fronte alla quale si scoprirà inerme come un bimbo. Questa esperienza umana del dolore fisico la rende ancora più vicina ai suoi fratelli in particolare ai piccoli.  Stando ai testi, è possibile affermare che Teresa intende le sofferenze fisiche e quelle, ben più penose per lei, della notte spirituale, come derivante della volontà di Dio; tutte dipendono da una disposizione generale di Dio.
 
Come intendere questa affermazione così chiara di Teresa? Da un lato non è sbagliato dire che la sofferenza fisica e la prova spirituale dipendono da Dio. Errato invece pensare che Dio vuole positivamente queste prove in Teresa! Le due affermazioni si conciliano solo se si recupera la dimensione della Creazione rifacendosi a Gn. 1-3.
 
Tutto ciò che esiste e che l'uomo esperimenta e vive trova la sua origine e il suo fondamento nella creazione. Nulla può esistere al di fuori di Dio! Pertanto, anche la prova e la sofferenza rientrano in questa visione divina. Per comprendere questo tema radicale dobbiamo riprendere la modalità di dirsi e di darsi di Dio in questo mondo.
 
È un Dio che si rivela: si manifesta, si svela, ma allo stesso tempo si nasconde. È un Dio che non è esperibile, non è percettibile immediatamente. È un Dio che c'è, ma che si rende presente nella forma del paradosso della Croce!
 
L'uomo che vive in questo mondo, essendo stato immagine e somiglianza di Dio è in grado di cogliere la presenza misteriosa di Dio, ma, dopo il peccato è anche esposto al male che abita tale mondo e influisce sull'umanità. La prova, la sofferenza, la malattia, la morte fanno parte dell'esperienza umana. L'uomo, nella sua coscienza credente, deve chiedere a Dio la forza per superare tale difficoltà e coglierle come un'occasione per avvicinarsi o riavvicinarsi a Dio giungendo, in una condizione di santità, a lodare Dio anche in quelle condizioni.
 
E così ha fatto Teresa comprendendo l'intuizione di Dio di concedere la salvezza attraverso una prova; vuole che la vita divina si manifesti in lei attraverso una “morte”.  Teresa comprende sin dall'inizio della sua prova che la morte a cui è chiamata e l'amor proprio: più sarà in grado di rendersi piccola e inutile e più l'Amore divino troverà spazio per manifestarsi nel suo splendore. È a tale splendore a guidarla nel buio della prova. Teresa cita senza commento questo versetto di San Giovanni: “Se il seme di grano caduto a terra non muore, resta solo, ma se muore porta molto frutto”.

Tuttavia, se la prova è una condizione indispensabile di crescere nella vita divina, essa è anche una specie di prova della verità nel corso dell'attuale le disposizioni profonde del cuore sono messe a nudo. La riprova possiamo trovarla nella scrittura là dove si parla dell'oro liberato dalle sue scorie attraverso il fuoco della fornace.
 
Pertanto, come il suono prodotto da un metallo rivela la sua natura, così l'anima, sottoposta alla prova, rivela la sua qualità reale, perché la condizione estrema in cui si trova, la costringe a deporre la maschera del personaggio per mostrare il suo vero volto.
 
Questo tipo di prova per un credente può diventare occasione per crescere in umiltà, forza, verità, e soprattutto in amore.
Essa è dunque un dono di Dio. Teresa la descrive così: ”La consideravo come una grande grazia”.  Ella non esita a vedere in Dio l'autore della sua prova di fede: “Egli vuole nascondersi per mettere alla prova la mia fede”.
continua...



luglio 2024 - 🕑 4 minuti c.a di lettura
luglio e agosto 2024

Grazia della prova
Più avanti diceva: “Sono contenta di soffrire perché lo vuole il buon Dio”. Non è soltanto una logica rigorosa, ma uno sguardo di fede lucido, che permette a Teresa di discernere un'azione di Dio negli eventi piccoli o grandi della sua vita.
 
Quale fede e quale purezza di cuore occorre per affrontare direttamente, in tutto il suo rigore e la sua apparente inumanità, questa verità: la sofferenza rientra a far parte dell'esito senza dell'uomo e trova il suo fondamento in Dio!  
 
Tale certezza va ricercata senza scappatoie e senza soccombere alla tentazione della bestemmia, della ribellione o della disperazione.
 
“Sì, mio Dio, sì mio Dio, voglio proprio tutto.” Istruita da una Sapienza superiore, ella entra pienamente nel mistero della redenzione senza rimettere in questione la benevolenza della volontà di Dio.
 
Sa che Lui non può che volere il bene dei suoi figli. L'istigazione al male, che trasforma la sua prova in tentazione, non può venire da Dio, perché Dio non tenta nessuno, ma viene da qualcun altro, il suo avversario, il suo nemico, il demonio del quale lei ne ravvisa l'intervento.
 
Ella non ha paura: “Gli avvoltoi, immagine del demonio, l'uccellino non li teme”, ma teme la sua malizia, le sue insidie sottili.
 
Egli cerca di sfruttare la situazione al massimo per condurla al dubbio e alla morte dell'anima: “Credo che il demonio ha chiesto al buon Dio il permesso di tentarmi con una sofferenza estrema per farmi mancare di pazienza e di fede”.  Dal maligno nascono i pensieri di dubbio, gli eccessi della sua sofferenza fisica e mille altre istigazioni che inducono a rinnegare Dio. Tuttavia, è in Dio l'origine della prova.
 
Egli si contenta di stare zitto ma, come abbiamo già notato, da a Teresa segretamente la forza di resistere. Egli è nel suo cuore.
 
Teresa sa distinguere molto bene la differenza tra prove e tentazioni. Ella sa che spetta a lei fare e rifare liberamente la propria scelta. Non è un'ascesi personale quella di Teresa, ma la consapevolezza che ella continuamente deve rimettersi in modo radicale nelle mani di Dio affinché egli possa purificare quelle passive notti del corpo e dello spirito. Dio sollecita l'uomo, attraverso gli eventi della vita, ad appoggiarsi a lui solo; ma, molto spesso, a causa della sua debolezza, non spinge la prova fino alla fine. Lo ha fatto con Teresa allorché è stata capace di mantenersi dritta in una fede forte, pura: “Mi ha mandato questa prova solo nel momento in cui ho avuto la forza di sopportarla”.
 
La prova sembra toglierle probabilmente quel godimento che ella risconta nella sua fede tanto viva e chiara. Quella stessa fede limpida che lei infonde il desiderio di vedere presto l’Amato e magari, attraverso un incontro suggellato con la corona del martirio.
 
Ma anche qui gli eventi la costringono a modificare i propri desideri: “Il martirio: ecco il sogno della mia giovinezza! Questo sogno è cresciuto con me dentro il chiostro del Carmelo di Compiègne che lei ammira ed invidia. Si immagina che si sarebbe vero rizzati di nuovo dei patiboli in quella sua epoca in cui, in Francia, infieriva ciò che gli storici hanno definito la persecuzione radicale. Ella riconoscerà più tardi con un pizzico di malinconia: “…e io che desideravo il martirio, è possibile che muoia in un letto!” Ha desiderato il martirio dell'amore?
 
L'avrà. Ma perlomeno ella asserisce ancora:” L'amore non consumerà la tela della mia vita, esso la romperà improvvisamente”.
 
Di fatto, ella deve accettare di conoscere l'agonia.
 
La sua morte sopraggiunge solo dopo 37 ore di agonia purissima, senza alcuna mescolanza di consolazione.
 
La carità
Nella personalità della Santa, esiste un campo nel quale Teresa può fare ancora qualche progresso, quello che è stato a lungo il suo punto debole: l'affettività. Ella racconta i suoi eroici e solitari combattimenti per dominare il suo naturale bisogno di tenerezza e di stima, la sua estrema sensibilità.
 
Lentamente giunge a una grande libertà di cuore attraverso dure rinunce e la sua relazione col prossimo, la carità va considerevolmente maturando.
continua...



settembre 2024 - 🕑 4 minuti c.a di lettura
settembre e ottobre 2024

Lentamente giunge a una grande libertà di cuore attraverso dure rinunce e la sua relazione col prossimo, la sua carità va consente considerevolmente maturando.
 
Le resta tuttavia da superare un passo decisivo, “penetrare le misteriose profondità della carità”.
 
Questa grazia la conosce, secondo ogni probabilità, durante la sua prova della fede e come frutto di quest'ultima.
 
Infatti, ella scrive nel giugno del 1897:
”Quest'anno, il buon Dio mi ha fatto la grazia di comprendere cos'è la carità; prima io la comprendevo, è vero ma in un modo imperfetto”. Quest'anno sembra designare i mesi trascorsi del 1897.
 
Più avanti precisa: “Da qualche mese non devo più lottare per praticare questa bella virtù. Ella spiega che, fin lì, ha desiderato amare le sorelle come se stessa, cercando di vedere Gesù in loro.
 
Ma si accorge che quell'amore è imperfetto.
 
Si ricorda che Gesù ha dato un comandamento nuovo, quello di amare il prossimo come Lui, Gesù, lo ha amato. Ciò è possibile solo lasciando che Gesù ami attraverso di noi e in noi il prossimo: si, io lo sento, afferma Teresa, quando sono caritatevole, è Gesù solo che opera in me; più sono unita a Lui, più amo tutte le mie sorelle.
 
Con questo nuovo approfondimento della carità, le ultime resistenze della sua affettività si sono dunque fuse nel corso di questa implacabile notte dell'anima che lei vive da un anno.
 
Ella prende coscienza di questa purificazione del suo amore naturale: il suo animo e rinfrancato da Colui che voleva amare in un modo unico.
 
Se si confronta il martirio di amore di Teresa, con la sua offerta come vittima di olocausto all'amore misericordioso, si è portati a concludere che il suo duplice martirio del corpo e del cuore allo scopo, in definitiva, di portarla a consumarsi rapidamente nell'amore.
 
Osserviamo ora in cosa consiste per Teresa il vivere d'amore, di carità: “Teresa spiega dettagliatamente come lei cerchi di obbedire al Divino Comandamento della carità verso il prossimo.
 
Da indicazioni generali:
  • sopportare i difetti altrui
  • non stupirsi delle loro debolezze
  • edificarsi dei minimi atti di virtù che si vedono praticare
ma soprattutto non nascondere la carità in fondo al cuore, ma lasciarla emergere in modo che rischiari davvero il prossimo.
 
Descrive dunque la sua attenzione nel non trattenere pensieri o impressioni negative sulle consorelle nel coltivare giudizi positivi a loro riguardo, nel supporre sempre l'altrui buona intenzione, nel non giudicare mai nessuno, nel non cedere ad antipatie che si tramutano a volte in vere sottili persecuzioni, nel non lasciarsi fermare dal disamore altrui. Mostra come sia ampio il terreno degli insegnamenti evangelici, soprattutto là dove chiedono magnanimità: vera dilatazione del cuore per dare a chiunque chiede, per lasciare perdere ciò che almeno vorremmo poter donare, per essere davvero lietamente poveri quando ci vengono tolte delle cose che riteniamo necessarie. E infine ricorda che la carità più difficile è quella puramente spirituale, quella che occorre usare quando gli altri sembrano volersi impadronire delle nostre persone, delle nostre forze, della nostra capacità, del nostro tempo e perfino delle nostre idee. In particolare, poi Teresa si sofferma a descrivere il lavoro più necessario e difficile: quello insostituibile per far sì che una qualsiasi comunità cristiana diventi un vero ambiente di misericordia. Con brevi tratti ella evoca quelle persone che ogni comunità è tentata naturalmente di escludere: quelli che rendono la vita sgradevole perché mancano di giudizio, di educazione, e sono di carattere suscettibile, tanto più che in genere si tratta di malattie croniche per le quali non c'è speranza di giungere alla guarigione.
continua...



novembre 2024 - 🕑 4 minuti c.a di lettura

novembre e dicembre 2024

Il realismo di Teresa è impressionante. E subito, con altrettanto realismo ella guarda sé stessa: si vede malata, inutile nella sua sedia a rotelle, forse di peso… e forse dovrà restare in quelle condizioni per tutta la vita!
 
Scrive: “Ecco la conclusione che ne traggo: …devo cercare la compagnia delle sorelle che mi sono meno simpatiche, compier presso queste anime ferite l’ufficio del buon samaritano. Una parola, un sorriso gentile, spesso bastano per rasserenare un’anima triste!”.
 
Alle riflessioni alterna dunque il racconto di episodi che rivelano un raro eroismo: la consorella dal carattere molto sgradevole che ha il talento di dispiacerle in tutto: maniere, parole, carattere che Teresa circonda di tante premure e tenerezze da far credere a tutta la comunità che quella sia la consorella preferita; la vecchia suora inferma, brontolona e intrattabile che Teresa, novizia, conduce ogni sera al refettorio con la stessa delicatezza con cui avrebbe condotto Gesù Cristo in persona; la vicina di banco che in coro continua a fare un leggero fastidioso rumore, che Teresa impara ad offrire a Gesù “come se ascoltasse un bellissimo concerto; la sorella distratta che in lavanderia le schizza addosso dell’acqua sporca, mentre Teresa rinunzia a sottrarsi all'indelicato trattamento.
 
Tutti episodi che ella definisce in blocco “piccolissime cose” utili e adatte soltanto a una “piccolissima anima”.
 
Sono proprio essi a dirci in che senso Teresa dice di aver finalmente compreso - solo negli ultimi mesi di vita- cosa sia la carità.
 
Quasi tutti gli episodi, con cui ella esemplifica, risalgono addirittura al periodo di noviziato; non è dunque nella pratica che Teresa ha dovuto cambiare: tutte le testimonianze dicono che ella ha sempre osservato il “secondo Comandamento” fin nella massima delicatezza e intensità.
 
Fu questa la grazia del 1897. Essa portò a Teresa la gioia di poter ricondurre tutte le relazioni umane, anche le più difficili e faticose, dentro l’unico amore: se è vero che ogni vita cristiana consiste nella osservanza dei due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo, si può dire che nel Carmelo questi due amori diventano il pane di ogni ora per Teresa. La clausura, infatti, è come uno stretto abbraccio: rende evidente l’esclusiva appartenenza di ogni sorella, nella comunità, è un’evidenza che si fa sempre più marcata col passar degli anni. Teresa in questi ultimi anni vive la carità come la forma più alta dell’appartenenza Dio:” Soprattutto ho capito che la carità non deve affatto restare chiusa in fondo al cuore”.
 
Mi sembra che questa fiaccola rappresenti la carità che deve illuminare, rallegrare non solo coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, nessun eccettuato…Alla fine Teresa comprende che vuole far piacere alle sue consorelle con la stessa totalità e tenerezza con cui vuole far piacere a Dio.
 
E il suo letto di morte – tra tante sofferenze fisiche e spirituali – diventa per il monastero un luogo dove si percepisce sensibilmente la tenerezza di Dio.
 
L’apostolicità.
L’intensità e la profondità della prova di Teresa non si spiegano soltanto on la necessità di purificazione personale. La loro vera portata appare nella missione apostolica universale a cui Dio la destina. La sofferenza è una realtà umana così comune che tocca gli uomini senza distinzione di età, di sesso, di razza o di fede, realizzando al di là delle loro parole una comunione che oltrepassa ogni comprensione. Teresa ha vissuto questa solidarietà di ordine esistenziale in modo eccezionale, lei che fin dall'infanzia e durante la vita ha molto sofferto, e che soffrirà fino all'ultima ora.
 
In questo paragrafo ricordiamo soltanto il senso e il valore che molto presto ella ha saputo dare alla sua passione. Prima di tutto una testimonianza e nello stesso tempo un mezzo per crescere nell'amore, poi una possibilità, ovvero il privilegio di cooperare con Cristo per la salvezza delle anime:” Vedo che solo la sofferenza può partorire le anime”.
continua...


Torna ai contenuti